La Gazzetta Sportiva, Domenica 6 giugno 1999
Editoriale di Candido Cannavò
ATTORNO A LUI, IL TRADIMENTO
Erano passate le otto di sera, Campiglio restava ancora avvolta nella pagina più bella della favola rosa. Ore di delizia da centellinare, iperboli fantasiose, voli pindarici attorno al messia della montagna. "Perché non andiamo trovare Marco nel suo covo?": Pier Bergonzi mi invitava in quella che da Agrigento in poi, era stata la sua seconda casa. Pantani sedeva a tavola, dinanzi a una bistecca quasi intatta.
Mi ha fatto spazio al suo fianco e abbiamo parlato, per oltre unora, come due amici di generazioni diverse che hanno trovato unidentica sintonia umana.[...]
Il trionfale giro era solo un sottofondo. Marco non aveva nulla del Pirata: mi chiedeva consigli per iniziative di solidarietà, i bambini poveri, il Kosovo e soprattutto Emergency che lotta contro le barbarie delle mine anti-uomo. Faceva riflessioni sulla vita, sulle cattiverie umane, sulle coppie giovani che si separano perché cè troppa sete di libertà, non cè più pazienza. E il mio istintivo affetto per lui cresceva dinanzi a tanta sensibilità, a tanta saggezza. Quel delizioso ragazzo, che si apprestava a raccogliere gli onori di un trionfo, dieci ore dopo sarebbe stato un uomo distrutto, un essere smarrito,un campione smarrito, un esule senza rotta.
Penso sia inutile descrivere lo stato danimo di chi sta scrivendo uno degli articoli più tristi della sua lunga carriera. Ma tra i tanti aspetti deleteri che emergono da questa vicenda, quello che mi ferisce di più è il senso feroce del tradimento: umano e sportivo. Non so da quale fonte provenga, non so quale sia il grado di colpa di Pantani o quanto lui sia vittima del suo stesso ambiente. Ma comunque sia, di tradimento si tratta. Io me lo sento addosso. Lho letto nel volto della gente incredula, sgomenta, calpestata nei suoi sentimenti, alla fine anche civilissima.
Credo che neanche i più beceri tifosi possano tenere in piedi la tesi di un complotto. Illogica, irreale, profondamente stupida. Nellorribile mattino in cui è affiorata la notizia, le facce dei medici, dei giurati, dello stesso presidente Verbruggen esprimevano il nostro stesso doloroso scoramento. Analisi clinica clamorosamente sbagliata? Ne sarei paradossalmente felice, anche se il trauma si appesantirebbe di uningiustizia. Ma non è possibile crederlo, vista la tecnica approfondita, le prove e le riprove, che sorreggono questi esami della federazione internazionale: elementari ma affidabili.
Il 52% di ematocrito (densità del sangue) è peraltro un dato spaventoso e profondamente a rischio per latleta. Gli stessi corridori, due anni fa, intuirono il gravissimo pericolo e proposero i controlli volontari. E in più: Pantani ha difeso apertamente questa scelta. "I prelievi dellUci ha ripetuto più volte- sono indiscutibili. Non accettiamo le sovrapposizioni di enti estranei". Ora si parla di risultati difformi, di analisi effettuate su Pantani nel pomeriggio. I carabinieri hanno inoltre sequestrato i documenti dellUci. Noi seguiamo tutto, ma il fatto, quello che conta, resta concentrato nella squallida mattinata che ci perseguita come un incubo. Là è finito il sogno.
E allora, con tutte le cautele del caso, emergono i contorni del misfatto. Nel ciclismo regnano connivenza e ipocrisia. Bravo chi fa il furbo, chi riesce a sgattaiolare. Non esiste una reale volontà di liberarsi dai veleni e di scacciare i mestatori. I sorrisini di ieri, le solidarietà di facciata, il falso dispiacere di taluni direttori sportivi ci sono apparsi brandelli penosi del dramma. Penso, poi, al clan di Pantani, al suo squadrone, al clima di grande famiglia della Mercatone. Le lodi si sono sprecate. Ebbene, questo ambiente, questo gruppo esemplare, con i suoi dirigenti, i suoi medici, i suoi invidiatissimi tecnici, non è riuscito a proteggere da uno sporco errore, da una malefica tentazione, da una debolezza collettiva il più grande patrimonio dello sport italiano. Qui siamo proprio nel cuore del misfatto.
Disastroso e inutile: Pantani il Giro lo aveva stravinto. E credo proprio con le sue gambe.
Trentanni fa avvenne la stessa cosa con Merckx. Nel 1988 Ben Johnson venne cacciato dalle Olimpiade di Seul, allindomani del record del mondo. Il demonio del doping cambia faccia, ma non sarrende. Non credo che Pantani si ritiri, ma né il ciclismo, né il suo messia potranno più essere quelli di prima. Aiutare Marco a ricostruire se stesso adesso diventa per noi una missione. Ma è lui, col suo carisma, il suo fascino, la sua saggezza, il suo dolore, che deve guidare la rivolta: non contro poteri occulti, ma contro le ipocrisie, le falsità e gli inganni di un ambiente che lha trascinato in un inferno.
Candido Cannavò